Quando si hanno invitati a pranzo, normalmente ci si ritrova con persone che ci sono gradite, alle quali vogliamo bene: parenti, amici, conoscenti di vecchia data. Le persone che non ci son gradite non ci sogneremmo mai di invitarle alla nostra tavola. Perché? Non ne sono degne? Non le riteniamo alla nostra altezza? Non ci sono simpatiche? Oppure ci fanno paura o più semplicemente le temiamo? Personalmente non mi son mai posto il problema. Chi veniva era più o meno sempre gradito e, come si suole dire, si era sempre pronti a “salvare la faccia”.
Ma questa volta è stato diverso. Un inaspettato ospite che non conoscevo e che poco dopo avrei certo mai voluto conoscere, si è seduto alla mia tavola senza invito, senza chiedere permesso. Si è seduto davanti a me ed ha iniziato tranquillamente a pranzare, senza alcun problema, almeno per lui. Mi sono seduto difronte e ho iniziato a guardarlo, cercando di capire chi fosse, che volesse da me. Ma continuava a mangiare senza degnarmi di uno sguardo. La sera, quando terminò finalmente di trangugiare tutto quello che era stato messo in tavola, si coricò. Lo osservai con sufficienza ed andai a dormire, dimenticandomi della sua presenza. Al mattino, al risveglio, non fu certo quell’episodio della sera precedente il mio primo pensiero. Ma poco dopo la presenza di quell’ospite mi riportò immediatamente ad una realtà che mi era poco gradita. Andai a vedere dove fosse e lo ritrovai a tavola, più grasso del giorno precedente e più avido nel mangiare tutto quello che era stato messo in tavola. Ma chi apparecchiava quella tavola per quell’ospite sconosciuto?
Per qualche giorno mi dimenticai di lui, non so se più o meno volutamente. Da un’analisi del sangue il medico notò l’aumento di un valore che riguarda un organo prettamente maschile. Non pareva preoccupato, tale valore superava di poco il limite standard. Nemmeno io mi preoccupai molto ma con il passare dei mesi quel valore crebbe, anche se non di molto sempre a detta del medico, ma in modo costante. Mi consigliò di fare un esame specifico. Non avevo mai fatto in vita mia una risonanza multiparametrica, così si chiamava. Avrebbero dovuto iniettarmi nelle vene un liquido che aveva un nome carino, quasi buffo, gandolino, per veder meglio all’interno del mio corpo, in particolare in quell’organo prettamente maschile: la prostata. Mi diedero in modo non molto delicato l’esito di quell’esame e piombai in un pianto dirotto e nella confusione e nel terrore più assoluti per un paio di giorni. Poi ancora una tac, un’altra tac con contrasto. Questa volta mi iniettarono una soluzione iodata ed infine dovettero farmi una biopsia, per accertare l’identità di quell’ospite sconosciuto.
Era un tumore alla prostata. Ancora una volta un urologo, che non era quello che mi seguiva normalmente, con altrettanto poco tatto mi diede l’esito della biopsia. Il mio ospite era abbastanza “aggressivo”, poco gentile e comprensivo. Ora rimaneva da accertare se quelle celluline di cui seppi il mio ospite era costituito, celluline certo poco carine, erano per caso andate in giro per il mio corpo: organi e scheletro. Quindi ancora un altro esame, una tac/pet con PSMA, sostanza radioattiva al Gallio, per vedere se qualcosa era sfuggito dalla capsula della mia povera e sbigottita prostata. No fu il verdetto. Feci un profondissimo sospiro di sollievo. Era una buona notizia, se così possiamo intendere le buone notizie. A questo punto mancava ancora un piccolo passo: la visita da uno dei massimi esperti in questo specifico campo. Fui anche qui rassicurato benchè il mio ospite era abbastanza aggressivo e si posizionava proprio al limite della mia sempre più sbigottita prostata.
I tempi per eseguire l’intervento di prostatectomia sono allo stato attuale, fine maggio 2022 di circa due mesi. Ma sono contento della mia scelta. Quella di aver rifiutato il ricovero, che sarebbe avvenuto quasi due mesi prima rispetto a dove mi opereranno poi, in quella struttura da cui per quel che mi riguardava mi sentii ad un certo punto abbandonato. La nuova struttura da me scelta da maggiori garanzie sulla casistica, sull’esperienza e sul modo di trattare con i pazienti determinate patologie, almeno questo si dice. Tornai a casa e mi accorsi che dentro di me qualche cosa era cambiata. Ero paradossalmente sereno, tranquillo, anche se sempre un poco preoccupato. Stavo provando quella sorta di assuefazione che la vita ti mette a disposizione quando sei in difficoltà, quando ti ritrovi difronte alla realtà, a quella realtà che tu non puoi in nessun modo cambiare e nemmeno modificare. Avevo perso il significato della parola vita. Non sono certo diventato un santo, non lo sono mai stato ma, seppur con i miei difetti, questi li osservo affievolirsi in me pian piano. Li vedo diventare sempre più piccoli. Sbirciai dentro di me e vidi il mio ospite. Tanto per cambiare era a tavola e si rimpinzava con ogni ben di Dio. Lo osservai. Ci guardammo. Vidi nel suo “sguardo” meno avidità, meno aggressività, meno odio per il mio organismo. E per assurdo mi accorsi che non lo odiavo. Non sentivo più rabbia nei suoi confronti. Non sentivo più disperazione ma speranza. Mi sedetti a tavola con lui. Ovviamente non mangiai nulla … ma tra noi si stipulò un accordo tacito. Avremmo convissuto in armonia fino a che il buon Dio avesse voluto.